ricerca predittiva
Legale28 luglio, 2021

Ricerca giuridica predittiva nell’era digitale

Con l’espressione “giustizia predittiva” si indicano quei sistemi computazionali, basati sull’intelligenza artificiale (IA), attraverso i quali è possibile prevedere il probabile esito di un procedimento giudiziario.

L’idea di applicare i calcolatori al mondo del diritto inizia nel 1946 con Norbert Wiener, padre fondatore della cibernetica, il quale accennava ad una possibile applicazione della teoria dei servomeccanismi al funzionamento del diritto. Nello stesso anno, Lee Loevinger, magistrato e avvocato statunitense, proponeva di sfruttare le tecnologie per studiare e risolvere i problemi giuridici. All’epoca, le intenzioni risentivano dell’ambiente giuridico anglosassone dove il diritto giurisprudenziale e il principio del c.d. precedente giocano da sempre un ruolo predominante.

Oggi l’approccio è completamente diverso, poiché parte dalla consapevolezza delle prospettive offerte dallo sviluppo tecnologico, facendo sì che l’intenzione di applicare l’IA alla giustizia sia un elemento non più esclusivo del mondo anglosassone, ma comune a tutto il panorama globale, ivi compreso il nostro Paese.

1. Intelligenza artificiale e certezza del diritto

L’art. 65 del R.D. n. 12 del 30 gennaio 1941 sull’Ordinamento giudiziario, nell’indicare le attribuzioni della Corte di Cassazione, prevede che questa “assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”. Si tratta cioè della funzione di nomofilachia della Corte, volta ad assicurare uniformità ed unità del diritto nazionale. Ed infatti, il giudice non può discostarsi dalla legge interpretandola in modo arbitrario, perché violerebbe le regole sull’interpretazione (art. 12 preleggi) cui è vincolato ex art. 101 della Costituzione. Inoltre, occorre ricordare il principio di uguaglianza come enunciato dall’art. 3 Cost. il quale impone di trattare in modo uguale situazioni giuridiche uguali, ossia stesso trattamento per le medesime fattispecie. Dunque, se il diritto è oggettivo, certo e ripetibile (cioè ha una base di regole predeterminate e vincolanti), allora è possibile prevederne l’applicazione.
In un tale contesto, il ruolo della giustizia predittiva può essere quello di conciliare l’IA con la certezza del diritto, o meglio, sfruttare la prima per raggiungere la seconda.

2. Come funziona la giustizia predittiva

Preliminarmente, è indispensabile prendere coscienza del fatto che gli algoritmi di IA possono essere sviluppati con approcci e tecnologie molto diverse tra loro, per cui non vi è un’unica procedura o un numero chiuso di obiettivi. Infatti, ci sono modelli volti a prevenire il giudizio, altri per accertare il rischio di recidiva, o ancora calcolare le probabilità di soccombenza.

In linea di massima, si può partire da una struttura di passaggi concettuali per arrivare alla costruzione di un modello predittivo: definire l’obiettivo e le caratteristiche dell’oggetto della predizione, reperire una base di dati contenente un numero sufficientemente ampio di “casi concreti”, addestrare il modello alla predizione utilizzando l’insieme di esempi pratici e un algoritmo per determinare i parametri del modello, e fornire una misura quantitativa della capacità di predizione del modello addestrato.
La qualità del modello predittivo dipenderà dalle caratteristiche selezionate e dalla ricchezza di informazioni dell’insieme di addestramento disponibile, il quale deve contenere una casistica sufficientemente ampia del fenomeno in oggetto. Alla base di tutto deve essere stabilita una correlazione tra le caratteristiche selezionate e l’evoluzione che si vuole osservare e poi prevedere. Svolti i passaggi necessari per la costruzione del modello, occorrerà poi applicare l’iter da seguire, per l’applicazione delle metodologie di intelligenza artificiale nell’ambito della giustizia, partendo da una causa e ponendosi come obiettivo quello di voler predire l’esito in base a un database di casistiche completo.

3. Conclusioni

L’applicazione dell’IA alla giustizia è oramai un processo avviato e con molti progetti in corso.
Si pensi, ad esempio, a quello della Corte d’appello di Brescia per creare una banca dati di provvedimenti da cui estrarre orientamenti e casistiche, o al lavoro coordinato della Scuola Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Bologna per la creazione di una banca dati giudiziaria e la costruzione di modelli predittivi per avvicinare coerenza interpretativa e imprevedibilità della giustizia.

Ciononostante, le controindicazioni rimangono. Un esempio in tal senso è l’uso del software Key Crime nel caso Compas, dove l’algoritmo era stato addestrato per calcolare il rischio di recidiva in base alla comparazione tra le informazioni immesse con quelle riferibili a classi di soggetti, aprendo così la strada a possibili applicazioni discriminatorie in base al sesso, colore della pelle e contesto familiare.

Quest’ultimo esempio – uno fra molti – impone di considerare che, se da un lato l’IA può rappresentare uno strumento utile da sviluppare, dall’altro, almeno oggi, non si può ancora prescindere del tutto dal giudice come essere umano.

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