ESG
Finanza e GestioneESG25 febbraio, 2022

La normativa ESG: criteri da seguire e impatti sulle aziende

Tra creazione di valore e investimenti sostenibili, ecco come sono stati sviluppati i criteri ESG per le aziende che promuovono uno sviluppo sostenibile nel tempo. Quando la teoria diventa capace di interpretare i bisogni dell’individuo e della collettività, allora finisce per anticipare un cambiamento che poi si riflette nella vita economica reale. 

A questo scopo basta ricordare come si sia passati da un principio guida per l'etica degli affari del tipo "La responsabilità sociale degli affari è quella di aumentare i propri profitti" (Milton Friedman, 1970), sostenendo che ciò che era buono per il business era buono anche per la società, al concetto di creazione di valore condiviso (Michael E. Porter e Mark R. Kramer, 2011), ossia sostenibile, introducendo così il tema della responsabilità sociale delle imprese
In sostanza, a livello di pensiero economico, si è passati da un’idea del tipo “ciò che è positivo per l’azienda è positivo anche per la società” al concetto radicalmente opposto “ciò che è positivo per la società è positivo anche per l’azienda”.

Creazione di valore sostenibile e normativa ESG: qual è il ruolo delle aziende private?

Il concetto di valore sostenibile nel tempo diventa il fine ultimo cui deve ispirarsi chi vuole perseguire una crescita che soddisfi i bisogni del presente, senza compromettere il futuro delle nuove generazioni. Questo impatta radicalmente sulla vita delle aziende e in particolare sul mondo Finance.

Sia chiaro, non si tratta di un cambiamento lasciato alla volontà del singolo. Infatti, se scorriamo l’Action Plan Europeo (2018), notiamo che l’Unione Europea è impegnata a favorire uno sviluppo che soddisfi le esigenze delle generazioni presenti e future, creando anche nuove opportunità di occupazione e investimento, garantendo la crescita economica.

A tal fine il settore privato gioca un ruolo chiave e proprio per questo l’Action Plan indirizza verso un mercato dei capitali che garantisca: 

  • crescita sostenibile e inclusiva, finanziando le esigenze a lungo termine della società; 
  • stabilità finanziaria, integrando i fattori ambientali, sociali e di governance (criteri ESG) nel processo decisionale relativo agli investimenti. 

L’intento è quello di indirizzare i capitali privati verso iniziative e investimenti sostenibili, avendo cura di saper misurare correttamente ciò che veramente è sostenibile e cosa no. 

Non a caso la prima delle otto raccomandazioni chiave dell’Action Plan Europeo recita: “sviluppare una tassonomia comune in ambito di finanza sostenibile, ossia un sistema condiviso di definizione e classificazione dei prodotti e delle operazioni finanziarie che possono essere considerati sostenibili”. 
Mentre, la terza raccomandazione esprime un focus sulla rendicontazione non finanziaria (DNF) e sull’analisi dei rischi: “rendere più funzionale ed efficiente il sistema di regole per la rendicontazione delle attività non finanziarie da parte delle imprese, a cominciare dai rischi e dalle opportunità legati al cambiamento climatico”.

È dalla prima raccomandazione che trae origine la c.d. Taxonomy Regulation, adottata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo con reg. EU 2020/852 e riguardante imprese industriali quotate soggette agli obblighi di Disclosure della DNF (rif. Art. 19 bis e 29 bis della Directive 2013/34/EU).

Ma c’è di più, osservando le dieci azioni chiave da intraprendere in base all’Action Plan Europeo, fra questa balza all’occhio la volontà di “promuovere investimenti in progetti sostenibili” per “elaborare indici di riferimento in materia di sostenibilità”.

Tanto basta per capire che non sarà più sufficiente dichiarare di essere “green”, ma occorrerà dimostrarlo attraverso parametri oggettivi e stringenti. La Taxonomy Regulation proprio questo disciplina in relazione ai sei obiettivi:

  • mitigazione dei cambiamenti climatici 
  • adattamento ai cambiamenti climatici 
  • uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine 
  • transizione verso un’economia circolare
  • prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
  • protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi

In relazione ai primi due obiettivi sono già stati pubblicati gli atti delegati che definiscono i requisiti tecnici di performance delle attività economiche allo scopo di determinare l’effettivo e oggettivo conseguimento di uno o più obiettivi, senza ledere gli altri

Ad esempio: un’attività di efficientamento energetico di un immobile che non sia accompagnata da un elevato riutilizzo dei materiali di scarto provenienti dalle lavorazioni edili, non necessariamente può essere qualificata come sostenibile, in quanto pur coprendo l’obiettivo “mitigazione cambiamenti climatici”, potrebbe compromettere l’obiettivo “transizione verso un’economica circolare”.

ESG e Finance: l’informativa non finanziaria

Tutto questo in azienda finisce inevitabilmente per ricadere nel perimetro gestionale del Finance. Pertanto, i CFO dovranno farsi ancor più carico di una materia che in non pochi casi è stata demandata ad altre funzioni aziendali. E non potrebbe essere altrimenti, dato che l’accesso al mercato dei capitali non potrà esulare dal rispetto di criteri di sostenibilità che i direttori finanziari non dovranno solamente conoscere, ma anche governare.
La capacità di aver sotto controllo le proprie attività per capire se le stesse possono essere lette dal mercato dei capitali come sostenibili, potrà far la differenza nell’accesso alle fonti finanziarie.

Ecco perché i CFO dovranno strutturarsi per gestire un’informativa che potremmo definire non finanziaria, ma che di riflessi sulla finanza d’impresa ne avrà eccome.

E proprio perché questa informativa non finanziaria sarà funzionale all’accesso alle fonti finanziarie, si tratterà di un’informativa sensibile, con ogni probabilità soggetta a certificazione di un revisore esterno, al pari della DNF. Il presidio del CFO sarà quindi di vitale importanza.

Cosa vuol dire adottare criteri ESG? 

In sintesi, la normativa ESG dovrà essere rapidamente fatta propria dalle aziende, troppe le pressioni dei consumatori e della società intesa come collettività, ma soprattutto forte la pressione degli enti regolatori. In relazione a questi ultimi occorre ricordare la direttiva europea Shareholders’ Right Directive II e il conseguente D.Lgs 49/19 che modifica il Testo Unico della Finanza, nonché il Codice di Corporate Governance cui aderiscono le aziende quotate. Con un effetto a cascata in tutti questi ambiti viene promossa una governance aziendale orientata alla crescita sostenibile nel medio-lungo termine.

E per non lasciare la raccomandazione sulla carta, viene enfatizzato il ruolo della politica di remunerazione come strumento atto a indirizzare le scelte del management proprio verso la crescita sostenibile nel medio-lungo termine.

Ecco perché nelle fonti sopra citate leggiamo dell’importanza della componente variabile nel package retributivo del management e all’interno di questa la rilevanza assegnata alla parte da erogarsi a medio lungo termine per premiare la performance del management su obiettivi non di breve periodo, ma basati su target anche non finanziari di medio-lungo termine.

E qui i CFO dovranno lavorare a braccetto con gli HR manager per implementare un’efficace politica di remunerazione e gestirla con sistemi gestionali strutturati e certificati, secondo le direttrici impresse dal Consiglio di Amministrazione nel rispetto delle indicazioni delle fonti regolatorie appena descritte.

Anche la politica di remunerazione meriterebbe un approfondimento a parte, per ora ricordiamo solo quanto scritto da Larry Fink CEO Blackrock nel 2016 nella sua Letter to CEOs: "Today's culture based on quarterly earnings hysteria is totally contrary to the long-term approach we need ... We demand that every CEO, every year, provide shareholders with a strategic framework for long-term value creation".

 
mario-vinzia
SDA Professor

Mario Vinzia è SDA Professor presso l’Area Amministrazione, Controllo, Finanza Aziendale e Immobiliare dell’Università Bocconi.
È stato Consigliere d’amministrazione e membro Comitato Controllo Rischi e Parti Correlate ed è consulente tecnico in contenziosi civili e penali in materia di derivati e di strumenti finanziari e principi e trattamenti contabili, nonché consulente in ambito enterprise risk management.

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