Nel nostro ordinamento, il ruolo del professionista intellettuale è da sempre distinto da quello dell’imprenditore. Il Codice civile, risalente al 1942, individua per i professionisti una specifica fattispecie negoziale: il contratto di prestazione d’opera intellettuale. Proprio all’interno di questa disciplina è contenuta una norma di estremo interesse. L’art. 2238 c.c., infatti, dispone che, se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, si applica la relativa normativa. Pertanto, tra l’attività professionale e quella imprenditoriale può esserci un trait d’union.
L’evoluzione delle libere professioni
Le libere professioni, sempre più, si stanno avvicinando al paradigma dell’attività imprenditoriale, anche se non si è ancora raggiunta un’equiparazione tra il professionista e l’imprenditore. La disciplina di origine comunitaria costituisce una rappresentazione emblematica di questa evoluzione. Infatti, nella normativa UE la figura del professionista e quella dell’imprenditore collimano, basti pensare alla definizione contenuta nel Codice del Consumo, ove per professionista s’intende la “persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale”. Anche la giurisprudenza eurounitaria offre una nozione ampia di imprenditore considerando tale qualsiasi soggetto che, indipendentemente dallo stato giuridico e dalle modalità di finanziamento, eserciti un'attività economica. È di tutta evidenza che, in base a tale definizione, tutti i professionisti possono considerarsi imprenditori.
Per quanto concerne l’attività forense, le modifiche normative degli ultimi anni paiono avvicinare l’avvocato al mondo dell’imprenditore. Mentre un tempo la non imprenditorialità della professione forense era considerata un privilegio, di recente, si assiste ad un cambio di rotta. Beninteso, l’Italia è ben lontana dal modello d’oltreoceano, ove lo studio legale è una vera e propria azienda (la cosiddetta “law firm”), tuttavia le innovazioni degli ultimi decenni sembrano spingere la professione forense in quella direzione. A piccoli passi.
Il primo passo: l’esercizio della professione in forma societaria
Una legge del 1939 consentiva l’esercizio della professione in forma associata con l’obbligo di utilizzare la dizione “studio legale, studio commerciale, et cetera” seguita dal cognome e dai titoli professionali e vietava ogni diversa forma di esercizio della professione. Bisogna attendere il 2017, con l’introduzione di uno specifico articolo nella legge professionale forense (art. 4 bis), per poter costituire società professionali multidisciplinari, con la partecipazione anche di soci non avvocati, seppur nella misura non superiore ad 1/3 del capitale sociale. Quindi, attualmente, è possibile costituire una società tra avvocati (STA) o tra professionisti (STP) che comprenda, ad esempio, legali e commercialisti. L’esercizio della professione in forma societaria, però, non basta ad equiparare l’avvocato all’imprenditore. Basti pensare al fatto le società tra professionisti non sono soggette a fallimento, in quanto non svolgono l’attività di impresa commerciale.
Il secondo passo: le specializzazioni
L’introduzione della figura dell’avvocato specialista si deve alla nuova legge professionale forense (art. 9), ma solo nel 2020 si è data attuazione definitiva a questa figura (D.M. 163/2020). Le specializzazioni consentono all’avvocato di “scegliere” una porzione specifica di mercato, si pensi al diritto dell’informazione e della protezione dei dati personali o al diritto dei consumatori. Questa novità potrebbe condurre alla fine dell’avvocato generalista e alla nascita di studi legali competenti esclusivamente in determinati settori del diritto. Come logica conseguenza, potrebbero diffondersi studi che si occupano solo di un determinato ambito, radicati su tutto il territorio nazionale, sulla falsariga del modello statunitense. Infatti, la specializzazione in una specifica materia incide sull’organizzazione dello studio che deve dotarsi di mezzi e strumenti adeguati per svolgere la propria attività e l’organizzazione rappresenta uno degli elementi caratterizzanti dell’attività imprenditoriale, rilevante ai fini dell’operatività dell’art. 2238 c.c. citato al principio di questa breve disamina.
Il 21 aprile 2022 hanno avuto inizio i lavori della Commissione istituita per elaborare i programmi dei corsi di formazione specialistica per gli avvocati.
La Ministra della Giustizia in quel momento in carica, Marta Cartabia, nel proprio intervento ha invitato la Commissione a tenere conto di due priorità nell’elaborare i percorsi formativi specialistici:
- necessità di sviluppare migliori capacità di scrittura nei giuristi;
- capacità di inquadrare problemi giuridici, e fornire soluzioni a tali problemi.
Conclusioni
L’esercizio della professione in forma associata avvicina l’avvocato all’imprenditore, rendendo applicabile la relativa disciplina quando il sostrato organizzativo è preminente e non solo strumentale all’attività svolta. Allo stato, però, emerge una forte resistenza nell’applicare al professionista lo “statuto dell’imprenditore”. Ad esempio, la giurisprudenza si è espressa spesso nel senso dell’inapplicabilità del regime di responsabilità da concorrenza sleale ai rapporti tra liberi professionisti – questione che resta controversa – oppure, come già detto, è stata affermata la non assoggettabilità al fallimento delle STP. Del resto, preme ricordare che dal 1933 sussiste per l’avvocato il divieto – confermato dalla nuova legge professionale forense – dell'esercizio del commercio in nome proprio o altrui. La Cassazione, nel 2016, ha ricordato che tale divieto sarebbe privo di significato se lo studio professionale fosse assimilabile ad un'azienda commerciale. Il Fisco la pensa diversamente. Infatti, sotto il profilo tributario, tutte le società – anche le STP – sono imprese, a prescindere dalla fonte di reddito (autonomo o d’impresa). Nel marzo del 2021, sul punto, è intervenuta la Cassazione, affermando che la natura del reddito delle società tra professionisti deve essere stabilita caso per caso.
Com’è intuibile, la problematica è complessa ed in continuo divenire.
Gli studi associati di vocazione internazionale che seguono un “modello aziendale” costituiscono ormai una realtà, ma è parimenti vero che la platea dei professionisti – che esercita la professione in modo tradizionale – rappresenta ancora la maggioranza. Forse la figura dell’avvocato specialista offrirà l’input decisivo per un effettivo cambiamento nello svolgimento della professione.