“Io faccio l’avvocato da una decina di anni e mi sono sempre occupata di diritto del lavoro, sia come libero professionista sia come consulente per società di formazione del settore terziario. Eppure, mai come in questi ultimi tempi, ho visto tanta insofferenza dei lavoratori da un lato, e una grande consapevolezza dei giovani rispetto ai propri diritti dall’altro”. Secondo l’avvocata ed esperta in diritto del lavoro Olivia Cavallotti, tre sono le parole chiave del post-pandemia nel suo settore: smartworking, dimissioni e prepensionamenti.
Partiamo dal primo: chi cerca di più il lavoro da remoto, lavoratori o aziende?
Finita la crisi emergenziale, molti lavoratori oggi buttano un occhio su aziende e compagnie che cercano personale che lavori da casa. E a noi avvocati giungono numerose richieste in questo senso: chi riceve una proposta di assunzione ce la gira per chiedere di controllarla, cercando in particolare la clausola sullo smartworking, che oggi deve essere regolamentato dall’accordo individuale, in cui si stabiliscono tempi, organizzazione, strumentazione e diritto alla disconnessione.
E la clausola, in genere, si trova?
Dipende. Diverse aziende, in special modo quelle grandi, hanno approfittato della pandemia per ristrutturarsi, allestendo al posto degli uffici degli spazi comuni e lo smartworking lo incoraggiano, anche perché riducono i costi e ci risparmiano. Al contrario, le piccole aziende hanno più bisogno della presenza e concedono lo SW solo in casi eccezionali. Ma la differenza maggiore la fa la digitalizzazione: se l’archivio è ancora tutto cartaceo non c’è niente da fare, si deve andare in ufficio. Tante persone hanno continuato ad andare in ufficio anche durante il lockdown solo perché dovevano stampare i documenti. Neppure le grandi aziende sono tutte digitalizzate, così come non lo sono nemmeno gli studi professionali (a differenza di chi ad esempio usa One LEGALE , la soluzione digitale di Wolters Kluwer che aiuta i professionisti del settore forense a creare un vero e proprio studio legale virtuale - molto più di una semplice banca dati giuridica - che in ogni momento e ovunque ci si trovi, consente di accedere a tutti i contenuti e gli strumenti di cui si ha bisogno, ndr).
Secondo social e giornali, molte persone hanno preso così tanto gusto a lavorare da remoto, che hanno lasciato il posto fisso per avere maggiore libertà e flessibilità. È un fenomeno che ha riscontrato anche lei?
Certamente sì, tra i lavoratori c’è molta più insofferenza rispetto a vincoli e orari, e chi ha potuto si è dimesso. Chi pensa di essere bravo, oggi va dalla propria azienda e dice “perché non facciamo una collaborazione esterna sottoforma di consulenza?”. In genere è un accordo che funziona per entrambi.
Sono soprattutto i giovani a richiedere queste forme di contrattualizzazione “libere”?
Non esclusivamente. Quello che noto con piacere, però, è che i giovani di oggi sono molto più informati della generazione precedente e conoscono bene i meccanismi della contrattazione. I media li descrivono come degli sprovveduti, ma io li trovo tutt’altro che tali. E anzi rimango colpita da quanto siano pignoli, per esempio nel leggere la propria busta paga. Quello che invece non sanno è che anche i loro diritti vanno in prescrizione: non si possono aspettare anni per chiedere il TFR, e nemmeno mesi per impugnare un licenziamento o contestare una busta paga. In più, c’è molta disinformazione sui congedi parentali, ed è un problema che va superato.
Altre istanze particolari degli ultimi mesi, sia lato azienda sia lato lavoratore?
Lato azienda c’è soprattutto il problema di conciliare lo smartworking con le ferie e i permessi da smaltire. Oggi quasi nessuno prende un permesso per andare dal medico e così i giorni si accumulano, fino a quando per l’azienda scatta l’obbligo di smaltimento. E molti si rivolgono a noi avvocati, chiedendo “come posso fare?”.
E lato lavoratore, invece?
Abbiamo soprattutto un problema di morosità da parte delle imprese in crisi, che non versano contributi e non pagano l’IRPEF.
Altri fenomeni da segnalare?
Il ricorso ai prepensionamenti è in aumento: tante aziende si ristrutturano e/o sono in crisi, e prepensionare è sicuramente meno oneroso che licenziare (non si rischiano cause con costi legali, indennizzi ecc..). Spesso, poi, sono gli stessi lavoratori a chiedere un incentivo se mancano due o tre anni alla pensione. E in genere le aziende sono favorevoli, soprattutto se hanno crisi da affrontare.
Un’ultima cosa: quali sono, se ci sono, questioni urgenti da affrontare dal punto di vista legislativo, secondo lei?
Bisognerebbe estendere il contratto di apprendistato, eliminando il ricorso al tirocinio dopo gli anni della formazione: nel momento in cui i ragazzi si diplomano devono avere un contratto con ferie, permessi, assicurazione contro gli infortuni, tutte garanzie che un tirocinante non ha. In più emergono contraddizioni legate ai disturbi dell’apprendimento: deficit come dislessia o discalculia sono in aumento, ma, mentre a scuola vengono riconosciute e in qualche modo tutelate, a livello lavorativo di fatto non esistono e non rientrano nelle categorie protette. L’attenzione del legislatore dovrebbe essere rivolta a tutelare questi soggetti.