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Legale18 maggio, 2021

Agenda ONU 2030 e parità di genere aziendale: compliance normativa e ruolo del Corporate Counsel

Uno degli obiettivi fissati dall’agenda ONU 2030 è il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile.

Sempre più aziende sono oggi dotate di codici etici, norme di comportamento o simili, che enunciano i principi fondamentali a cui intendono ispirarsi nelle proprie attività.

Le imprese che intendono raggiungere questo obiettivo dovrebbero far conoscere a tutta l’organizzazione i valori in cui l’azienda crede per rendere operativo il pieno realizzarsi delle pari opportunità.

Il corporate counsel dovrà prendere atto di queste esigenze poiché, in tale prospettiva il coinvolgimento dei vertici aziendali è fondamentale dal momento che i dirigenti dovranno essere i primi a condividere i valori espressi nelle politiche interne.

Questo perché, l’uguaglianza professionale tra i generi è oggi un tema sempre più rilevante per le imprese, infatti, oltre all’obbligo della compliance, essendoci sempre più leggi in materia, ci sono anche altre esigenze di tipo socio-economico delle quali si deve tener conto fra cui, trarre massimo beneficio dalle potenzialità di tutto il personale valorizzando anche le differenze di genere.

Da un punto di vista normativo, giusto ricordare la conferenza di Lisbona del 2001, la Comunità Europea ha affrontato il problema e si è data degli obiettivi in termini di presenza femminile nel mercato del lavoro.

L’orientamento internazionale che si va delineando, non certo con delle tempistiche rallentate, indica che la corporate gender equality nel prossimo futuro potrebbe non essere più considerata una scelta etica aziendale ma un vero e proprio obbligo di adempimento al quale tutte le imprese dovranno adeguarsi per non incorrere nel rischio di compliance normativa (non conformità).

Peraltro, doveroso rammentare che è in atto un progetto internazionale che ha lo scopo di mirare al raggiungimento di una forma di obbligatorietà sulle politiche di parità di genere nella Corporate Governance e che nel 2015, i 193 stati facenti parte dell’ONU hanno dato seguito alla sottoscrizione dell’agenda ONU 2030, che consiste in un programma di azione per lo sviluppo sostenibile, e, fra i vari obiettivi, c’è anche il raggiungimento della parità di genere in tutti i settori, è infatti prevista “la piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership ad ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica”.

Il che si traduce nel fatto che, gli stati firmatari dovranno legiferare per eliminare il gender gap entro il 2030. Dal momento che insieme agli stati, attori importanti dell’Agenda ONU sono considerati le imprese, quest’ultime dovranno porre in essere una politica aziendale di inclusion women al fine di raggiungere una gender equality.

Inoltre, la parità di genere aziendale è confermata anche dall’Unione Europea, dal momento che la Commissione europea nel Marzo dello scorso anno 2020 ha presentato una strategia per la parità di genere in cui ha dettato un piano di azione che si dovrà realizzare entro il 2025, anche in ossequio al piano strategico di azione da realizzare entro il 2025, in tema specifico di gender pay gap, ha indetto una consultazione pubblica che si è conclusa nell’anno trascorso sulla trasparenza dei compensi, al fine specifico di introdurre misure vincolanti in materia di trasparenza retributiva per procedere all’elaborazione di una direttiva volta proprio a tal fine.

Dal che, naturalmente conseguirà, l’emanazione di una direttiva in tema di trasparenza retributiva e che gli stati appartenenti all’Unione Europea dovranno legiferare per recepire tale direttiva e quindi per le aziende si configurerà un chiaro adempimento in tema di trasparenza salariale tra uomo e donna, in quanto dovranno adeguarsi per obbligo normativo per non incorrere in rischio di non conformità.

D’obbligo delle brevi note storiche: l’introduzione del principio della parità di retribuzione a parità di lavoro trova la sua previsione fin dal 1957 (trattato di fondazione della CEE del 1957. La direttiva 2006/54/CE ha fornito in questo senso la rielaborazione di una legge del 1975 che aveva lo scopo di favorire la parità di genere nell’accesso all’occupazione), ed esattamente nel trattato di Roma nel 1957. Principio di parità retributiva, che è oggi trasposto nell’art. 157 del Trattato del Funzionamento dell’Unione Europea. Anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è stata prevista ai sensi dell’art. 23 la parità di genere in tutti i campi come uno dei valori fondamentali dell’U.E.

In passato, importanti in materia di occupazione sono state la Direttiva 2006/54 e la Direttiva 2010/41, nonché, si deve ricordare l’adozione da parte della Commissione Europea nell’anno 2010 della c.d “Women’s Charter”: si tratta di una dichiarazione con l’impegno per la parità di genere in tutti campi e, nella quale, si è rinnovato, l’impegno alla parità retributiva aziendale ed alla parità di genere anche nei processi decisionali anche aziendali.

Nel nostro paese, nel 2011, con l’introduzione della legge 120/2011 legge Golfo-Mosca dal nome delle due deputate – Lella Golfo del PdL e Alessia Mosca del PD – che l’hanno presentata all’attenzione deliberativa del Parlamento, poi, la legge è stata approvata nel luglio del 2011.

Si tratta di una legge importante perché introduce l’obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo – consigli di amministrazione e collegi sindacali – delle società quotate, non molte secondo dati statistici, circa 300 ma grandi, rispetto alla quantità di micro, piccole e medie imprese che costituiscono la maggioranza delle imprese italiane, a cui certo vanno aggiunte le circa 6.500 tra controllate e partecipate pubbliche.

Nel dettaglio con tale legge è stata prevista l’introduzione delle quote di genere nei CDA delle società quotate e partecipate e dell’obbligo normativo della riserva di posti a favore del genere sottorappresentato negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in borsa e delle partecipate.

L’art 1 della legge predetta, reca delle modifiche al “Testo Unico della Finanza” con l’inserimento del comma 1-ter dell’art 147 ter TUF affida “…allo statuto delle società il compito della previsione che il riparto dei posti tra gli amministratori da eleggere sia effettuato in base ad un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi”.

L’art. 3, stessa legge, prevede le quote di genere anche nelle società partecipate con un meccanismo di rinvio ad un regolamento per la disciplina che è stato approvato nel 2012 con il DPR 251/2012 entrato in vigore ad inizio del 2013.

Nel 2019, con legge di bilancio 2020 (legge 160/2019), la legge Golfo- Mosca è stata prorogata con una modifica che ha previsto che il periodo di vigenza dei mandati non siano più tre consecutivi, bensì sei consecutivi ed altra modifica ha riguardato la riserva dei posti dal 30% come era previsto nell’impianto normativo originariamente al 40%.

La materia di compliance normativa in tema di corporate gender equality è inserita anche nel D.Lgs 254/2016 emanato in attuazione alla direttiva U.E 2014/95 con l’obbligo per gli Enti d’interesse pubblico di grandi dimensioni di emanare una disclosure non finanziaria pone tra le informazioni che dovranno rendere pubbliche attinenti agli aspetti della gestione del personale anche le misure poste in essere per garantire la parità di genere.

Sinteticamente, in riferimento alla materia trattata, il decreto riporta l’elenco degli ambiti minimi sui quali è richiesto di rendicontare le proprie attività e performance, lasciando la libertà alle singole imprese o gruppi di imprese di scegliere lo standard di rendicontazione che preferiscono, di individuare i key performance indicators che meglio descrivono le attività dell’impresa, resta fermo che la dichiarazione, a prescindere dagli standard adottati, deve contenere le informazioni afferenti gli aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, comprese le azioni poste in essere per garantire la parità di genere, le misure volte ad attuare le convenzioni di organizzazioni internazionali e sovranazionali in materia, e le modalità con cui è realizzato il dialogo con le parti sociali cui si correla il rispetto dei diritti umani, le misure adottate per prevenirne le violazioni, nonché, le azioni previste in tutela per impedire atteggiamenti ed azioni che siano discriminatori;

Pertanto, è evidente che anche nel nostro ordinamento giuridico nazionale è già esistente una legislazione in tema di corporate gender equality che obbliga all’adeguamento ed in caso di mancato rispetto c’è rischio di non conformità alle norme da parte delle società destinatarie, cui consegue naturalmente il rischio di incorrere in sanzioni, il che vuol dire che il corporate counsel dovrà avere una buona conoscenza anche di questi aspetti, che non sono secondari, non solo per avere una visione volta al futuro in favore dell’azienda presso la quale opera ma anche per evitare il serio rischio di non conformità alle norme.

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